L’islam in altre parole – #1 Religione

Rubrica bisettimanale per raccontare l’Islam tra (socio)linguistica, studio ed esperienza.

“Oh tu, che ti credi il centro dell’esistenza, la differenza tra un musulmano, uno zoroastriano e un ebreo sta solo in un punto di vista”. Mi imbatto in questo verso del poeta Jalāl ad-dīn Rūmī a pochi giorni dal 27 ottobre 2021, XX Giornata ecumenica per il dialogo musulmano-cristiano. Raccolgo pensieri e suggestioni che giungono da esperienze e incontri degli ultimi mesi e decido che oggi, 27 ottobre è il giorno migliore per raccontare il punto di vista musulmano con altre parole. Ieri insieme a Laura Caffagnini, Brunetto Salvarani, Marisa Iannucci e Letizia Tomassone abbiamo ricordato l’amico Giovanni Sarubbi scomparso lo scorso aprile, mio conterraneo, e sembra strano a dirlo per la nostra grande differenza di età, mio allievo del corso Arabo per il Corano.

La cura del mondo mi riguarda, in memoria di Giovanni Sarubbi

Giovanni Sarubbi, uomo di pace e di dialogo è venuto a mancare proprio in concomitanza con l’inizio del percorso che da tempo sognava di intraprendere: imparare l’arabo coranico per fare un ulteriore passo verso i musulmani e le musulmane, per mettersi nei loro panni, per guardare l’Islam dal punto di vista di chi lo vive. Giovanni credeva che il dialogo è possibile solo attraverso la giustizia, solo quando l’Islam è considerato sullo stesso piano delle altre religioni, solo quando i musulmani e le musulmane sono cittadini alla pari degli altri. A lui, che avrebbe apprezzato, letto e condiviso è dedicata questa rubrica.

Comincia oggi questa rubrica bisettimanale per raccontare l’islam con parole che a questo mondo culturale e religioso appartengono, lontane dalle narrazioni ostili. Si comincia con la parola religione. Può sembrare banale e scontato affermare che l’islam è innanzitutto una religione, ma non lo è affatto. Se si digita la parola islam su qualsiasi motore di ricerca la parola compare nella maggioranza dei casi in relazione a questioni geopolitiche di aree (soprattutto Medio Oriente e Nord Africa) abitate da una popolazione culturalmente musulmana o in relazioni a fatti di cronaca che hanno la violenza al centro. Questa situazione ha delle radici storiche, sociali e politiche ben precise che non analizzo in questa sede. Qui mi focalizzo invece sull’analisi della parola religione.

Religione / dīn : etimologia

La parola religione in lingua italiana deriva con molta probabilità dal verbo latino religare, nel significato di legare, secondo il vocabolario Treccani “con riferimento al valore vincolante degli obblighi e dei divieti sociali. La religione è dunque quell’insieme di credenze e pratiche che legano l’essere umano al divino. La religione è definita soprannaturale quando implica la credenza in una Rivelazione divina che sfugge nella sua totalità alla comprensione umana. Lo scopo dell’Islam, nell’insieme degli atti di culto, del retto comportamento e dell’adesione del cuore e formale alla fede, è quindi lo sviluppo spirituale e la connessione con Dio.

Porticato di una Moschea ad Abu Dhabi

La parola araba che compare nel Corano e che spesso viene tradotta “religione” è dīn (دِين), una parola che deriva da una radice comune ad altre lingue semitiche come l’ebraico e l’ aramaico. Il significato di base della radice ebreo-aramaica è giudizio, nel senso di guida verso la rettitudine. L’espressione yawmi-d-dīn (يَوم الْدِّن) è infatti tradotta “giorno del Giudizio”. Il senso arabo è invece contrarre un debito, da estinguere in una data prestabilita, da qui il termine assume il significato di uso e costume. Da dove viene quindi l’idea di tradurre la parola dīn con “religione”? Si deve questa ipotesi a due noti studiosi dell’Islam, Karl Vollers (1857-1909) e Theodor Nöldeke (1836-1930) che fanno risalire la radice al Pehlevi dēn che ha il significato di rivelazione, religione. Questa ipotesi è stata tuttavia scartata da diversi studiosi, ma resiste ancora oggi l’abitudine di sovrapporre i due concetti. Se si analizza l’origine della parola “religione” in italiano e altre lingue europee, ci si accorge che dal punto di vista semantico è più vicina alla parola araba che viene tradotta in italiano, preghiera, ossia la ṣalāt (صَلاة), che i musulmani compiono cinque volte al giorno. La parola ṣalāt risale infatti ad una radice che significa unire, ed è quindi il mezzo che lega il credente al proprio Creatore. La parola dīn ha quindi un significato più ampio che a seconda del contesto e della combinazione con altre parole può cambiare. Basti pensare che nel Sacro Corano la parola viene menzionata circa 80 volte. In sostanza la parola dīn indica un sistema di vita completo, una via da seguire per giungere alla maturità spirituale. L’Islam è infatti, come tutti i sistemi religiosi, un sistema olistico che tiene conto della multidimensionalità dell’essere umano. Ogni aspetto della vita e ogni momento della quotidianità può essere utile per nutrire la propria spiritualità nel cammino di fede che è poi il sentiero della vita.

Spunti di riflessione

Il significato base della radice da cui proviene la parola dīn offre tuttavia spunti per ulteriori riflessioni. Come già menzionato questa significa contrarre un debito, rimandando alla condizione costante dei cuori umili, che sentono dopo la scoperta della fede. I cuori si sentono debitori verso le benedizioni che scorgono nella quotidianità, senza attribuire valori diversi alla gioia e al dolore, perché tutto proviene dalla Misericordia dell’Unico. L’atto di culto scaturisce da questo senso di gratitudine e l’obbedienza diventa libera espressione del sentimento di fede, mai completamente spiegabile con le parole. L’Islam è una religione nel senso che è un insieme di pratiche esteriori per restare saldi nella fede ed espandere la propria spiritualità.

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