Rubrica bisettimanale per raccontare l’Islam tra (socio)linguistica, studio ed esperienza.
Il musulmano è per definizione della parola un individuo di sesso maschile che si identifica come appartenente all’Islam. I musulmani sono invece un insieme di individui, che possono essere sia uomini che donne, perché la nostra lingua almeno per il momento, usa il maschile plurale sia per indicare una moltitudine di persone di sesso maschile, sia per indicare un gruppo in cui ci sono anche delle donne. Tutta la riflessione intorno allo schwa e alla possibilità di rendere la lingua più inclusiva girano intorno a questo fenomeno linguistico. Non si tratta solo di suoni, parole e definizioni, ma del nostro sistema di pensiero, del modo in cui interagiamo con la realtà, la plasmiamo e agiamo di conseguenza. Quando si vuole affermare qualcosa di generico sulle regole alimentari islamiche, per esempio, e si dice “il musulmano non mangia carne di maiale”, si sta inconsciamente riducendo tutta la pluralità della comunità religiosa ad un singolo, per di più di sesso maschile. “Il musulmano” diventa una forma di oggettivazione di una realtà complessa fatta di persone molto diverse tra loro. Ragruppare questa eterogenea categoria nel generico e maschile “i musulmani” è operazione analoga perché semplifica, riduce eliminando le differenze. Ma dunque chi sono le persone musulmane? Sono per l’appunto musulmane e non islamiche. Ti spiego perché con qualche accenno al funzionamento della lingua araba che mostrerà anche che l’italiano a volte riesce ad essere rispettoso delle differenze.
In arabo le parole si costruiscono in modo diverso rispetto alle lingue indoeuropee. Tutte le parole sono riconducibili ad una radice solitamente trilittera che veicola il significato di base. Questi cosiddetti in linguistica morfemi lessicali si inseriscono in precisi schemi che formano altre parole e altri significati, che rientrano nelle tre parti del discorso in cui è divisa la grammatica araba. Le parole italiane “musulmano” e “islamico” rispecchiano una differenza presente anche in arabo, ma negli ultimi anni ce ne siamo dimenticati. La parola ” musulmano” deriva direttamente da muslim, femm. muslima, parola formata su uno schema che indica esclusivamente le persone: altri esempi sono parole come muhandis (ingegegnere), mumarriḍ (infermiere), mudarris (maestro) etc. La parola islamico in italiano molto probabilmente è un aggettivo derivante dal sostantivo islam, eppure sembra ricalcare un’altra parola araba che è islamī, femm. islāmiyya anch’esso aggettivo che deriva dalla parola islām. Questo aggettivo tuttavia si usa solo per le cose: ad esempio bank islamī è una banca islamica, ǧāmiʕa islāmiyya è un’università islamica e così via. Da alcuni anni ormai è facile sentir dire Maryam l’islamica, gli islamici pregano insieme il venerdì etc. eppure anche in italiano esiste per designare le persone di religione islamica, ossia musulmano/a/i/e. Quando utilizziamo la parola “islamico/a/i/e” per una persona stiamo applicando lo schema che usiamo per le altre religioni “cristianesimo/cristiano, buddismo/buddista” senza tener conto della peculiarità e del modo in cui coloro che praticano l’Islam chiamano se stessi. Cioè dire Maryam è islamica, significa dire che Maryam è un oggetto e invece Maryam è musulmana ed è una persona fra le tante. I musulmani, le musulmane sono persone, ma spesso non si sentono così. Eppure quello che molti e molte desiderano è solo questo: essere visti per quello che sono, persone.