Rubrica per raccontare l’Islam tra (socio)linguistica, studio ed esperienza.
Maria è l’unica figura femminile che nel Corano compare con il suo nome proprio Maryam. Oltre settanta volte questo nome ricorre nel Testo Sacro dell’Islam, sia per narrare alcune vicende della sua vita, sia in relazione a Gesù che viene spesso menzionato come figlio di Maria, in arabo Isā ibn Maryam. Il nome Maryam è anche il titolo del capitolo diciannove del Corano che dedica alcuni versetti al momento del parto di Gesù e al celebre episodio della palma di datteri. Secondo la narrazione coranica, Maria è sola quando si accinge a dare alla luce suo figlio, e si ritira in un remoto luogo in cui a soccorrerla c’è solo la sua fede. Dopo un iniziale momento di disperazione Dio provvede al suo ristoro facendo scorrere acqua ai suoi piedi e facendo cadere datteri freschi da una palma ormai secca. Il racconto prosegue con l’ingresso di Maria in società e con il primo miracolo attribuito a Gesù che si presenta parlando pur essendo ancora in fasce. I particolari sulla nascita e l’infanzia di Maria si trovano invece nel capitolo terzo del Corano, intitolato alla famiglia di Imrān, da cui Maria discende. Secondo il Corano ella è figlia di Imrān, corrispettivo del Gioacchino della tradizione cristiana, che muore prima della sua nascita, e di Anna, nome che si ritrova solo nelle fonti islamiche successive.
La sua storia è una fonte di ispirazione e di insegnamenti inesauribile. La parola Maryam è di difficile etimologia, le ipotesi più interessanti farebbero derivare questo nome da una radice della lingua egizia che significa “amore, amata” o come suggerisce viene dall’ebraico “mar”, goccia e “yam” mare. In latino si tradurebbe come “stilla marina” che per un errore di trascrizione diventa poi “stella marina”.
Nel Corano Maryam è una donna senza uomini, sola nella contemplazione del creato, sola nell’esperienza di connessione con la Trascendenza, sola quando si allontana per dare alla Luce la nuova vita. Nella vivida descrizione del parto il Corano ci restituisce l’iimagine di un corpo femminile vessato dal dolore: “Le doglie la spinsero presso il tronco della palma. Disse: “Magari fossi morta prima, magari mi avessero già scordato.” Da laggiù una voce la chiamò: “Non essere triste. Il tuo Signore ha fatto zampillare una fonte ai tuoi piedi.” ( Corano 19:23, 24)
Maryam è una donna come tutte, vive un momento di disperazione, che l’Assoluto accoglie con dolcezza materna, ricordandole di “non essere triste”, perchè c’è sempre speranza. Così fa zampillare una fonte ai suoi piedi che la possa rinfrescare fisicamente, per donare sollievo e gioia al corpo e all’anima.
“Scuoti verso di te il tronco della palma che farà cadere su di te datteri freschi e maturi. Mangia, bevi e rallegrati e dì a chiunque vedrai: “Ho fatto voto di digiuno al Clemente, oggi non parlerò con nessuno.” continua il racconto coranico nei versetti 25 e 26. A questo punto il Misericordioso chiede a Maryam di fare qualcosa, di scuotere il tronco della palma, un’azione concreta che evidenzia la forza del suo corpo, anche in un momento così delicato. Scuotere la palma è il passo decisivo che si compie in coerenza con la richiesta del cuore, quella di Maryam è infatti una fede viva e attiva. Lo è quando al momento dell’Annunciazione, analogamente al racconto del Vangelo lei ragiona e chiede: “Come potrò avere un bambino se nessun uomo mi ha toccato?” (Cfr. Corano 19:20)
Maryam è un esempio per uomini e donne, perchè tutte le nostre vite hanno origine nell’utero materno, che in arabo si chiama rahim, dalla stessa radice di rahma, la Misericordia, che è dolcezza, accoglienza, amore e pazienza. La Misericordia nell’islam è un imperativo, tanto che è nel nome di Allah Misericordioso e Misericorde che si recita ogni Sura del Corano e si inizia qualsiasi azione. La storia di Maryam ci ricorda che per vedere alla luce il bambino, frutto del suo utero e quindi frutto della Misericordia è necessario attraversare un periodo di travaglio, quel dolore che è sforzo, è contrazione, è fatica. Quel travaglio che ci conduce alla soglia della disperazione, affinchè il Soccorso Divino possa manifestarsi come ruscello d’acqua sotto i nostri piedi. Quel corpo abbastanza forte da potere scuotere una palma, perchè basta un piccolo gesto nella giusta direzione, ci ricorda che tutto è possibile se si resta connessi.
Dopo il parto, Maryam ritorna dalla sua gente con la forza della fede affronta gli sguardi e le parole di disprezzo di chi non riesce a credere al miracolo. “Maria”, le dissero “hai fatto una cosa mostruosa” si legge al versetto 26 del capitolo 19 del Corano. Il corpo di Maryam resta fermo di fronte al giudizio spietato di chi non riesce ad andare oltre il visibile. Vedono una donna peccatrice, che ha infranto le regole sulla sessualità, che ha disonorato la famiglia che merita la punizione. Il loro cuore è sordo di fronte al disegno divino, che molto spesso è incomprensibile e oscuro. La loro condizione è quella di ognuno di noi, quando fatichiamo a tenere a freno il pensiero e la lingua, lasciandoci andare a parole offensive e giudizi spietati. E’ la nostra condizione, quando dimentichiamo che ogni persona ha il dirittto di agire rispettando la propria esperienza e che il Divino traccia un destino diverso per ognuno di noi. E’ il desiderio di rinunciare ai limiti che è seme dell’arroganza, quel veleno che fa male al cuore.
Maria è in silenzio di fronte a chi la aggredisce, osserva una forma di diguno dalle parole, come ordinatole da Dio. Il suo silenzio è la fermezza di chi conosce la Direzione e si sforza di muovere ogni passo verso di essa, è il respiro che affida tutta la propria esistenza ad una dimensione oltre la materialità. Solo un cenno con la testa per indicare che il bambino che ha tra le braccia parlerà. “Come possiamo parlare con un bambino ancora nella culla?” le rispondono increduli, incapaci di attendere in silenzio che il miracolo si compia. Il neonato miracolosamente parla annunciando la sua missione profetica, il suo Messaggio di Pace per invitare l’umanità a congiungersi all’Uno attraverso la pratica.
La storia di Maria ci ricorda che la parola Islam significa abbandono fiducioso al Decreto, che non è semplice identità o appartenenza, ma il senso di una vita al servizio del Bene. Maria accetta il paradosso, l’incomprensibile, si affida perchè la certezza delle fede la rende capace di accettare i suoi limiti umani e accogliere l’immensità del Divino che va oltre il possibile.