Un libro al mese #settembre
Rubrica mensile dedicata ai libri che hanno contribuito a costruire il mio cammino e sono certa informeranno e ispireranno anche te!
“L’uso sociale del nostro corpo è necessariamente il risultato di una cultura. Esso è stato acculturato e colonizzato. Conosce solo gli usi e le prospettive per le quali è stato educato. Per trovarne altri deve distaccarsi dai suoi modelli. E questo passaggio fa scoprire al soggetto la propria vita, la propria indipendenza e la propria eloquenza fisica.”
Con queste parole di Eugenio Barba si apre il libro di Jolanda Guardi e Claudia Lunetta, una collaborazione tra docente e allieva, tra storia, cultura e arte. La danza del ventre rievoca nell’immaginario della maggioranza fantasie legata ad un Oriente sensuale, lascivo, a donne che danzano adornate di lustrini e veli colorati. Lo stesso termine danza del ventre sorge in ambito coloniale, coniato da viaggiatori occidentali, probabilmente francesi, stupiti da movimenti di parti del corpo a loro sconosciuti.
Se è vero che molti movimenti caratteristici di questa danza interessano le anche e di conseguenza il ventre, è pur vero che come ogni disciplina coreutica essa interessa il corpo per intero. Lo scopo del libro di Guardi-Lunetta è proprio ampliare la conoscenza sulla storia della danza, analizzando con lucidità il modo in cui quest’arte tipicamente araba, in particolare egiziane abbia subito trasformazioni e distorsioni che invitano a riflettere più in generale sul fenomeno dell’Orientalismo, come descritto da Edward Said.
Gli occidentali, provenienti per lo più da Francia e Inghilterra che viaggiavano ad Oriente alla fine del XIX secolo portavano un bagaglio di convinzioni, fantasie e aspettative che hanno poi forgiato il loro modo di raccontare le esperienze. Il termine raqs sharqi, ossia danza orientale, viene coniato in Egitto per distinguere il proprio stile di danza da quello dei colonizzatori occidentali.
Ripercorrendo brevemente la storia della danza orientale, la cui origine viene fatta risalire a tempi antichissimi, le autrici disvelano le ragioni dei pregiudizi e i tabù che ancora oggi imprigionano danzatrici e danzatori.
Ad esempio, il termine “awalim” designava un particolare gruppo di donne erudite che probabilmente a partire dal IX secolo si dedicava alla musica, al canto e alla danza presso le corti in ambiti riservati solo alle donne. Alla fine del diciottesimo secolo questo divenne sinonimo di prostitute, anche a causa del modo in cui viaggiatori e studiosi europei le immaginarono permeati da una visione che riduceva, distorceva l’immagine dell’Oriente, visto come terra da soggiogare e sfruttare.
La danza orientale è dunque nelle sue espressioni contemporanee è un prodotto transculturale, che oltrepassa i confini dei paesi mediorientali per abitare le fantasie occidentali e tornare indietro a volte arricchita a volte impoverita.
Questo libro, uscito nel 2008, corredato di illustrazioni che mostrano la tecnica di base della danza orientale, è un ottimo punto di partenza per aumentare la consapevolezza culturale sia delle danzatrici e danzatori, sia degli spettatori.